Presentazione catalogo “CARLA MONTEMERLI”a cura di: Lapo Binazzi

Le sculture di Carla Montemerli recano con sè la traccia dell’attualità. Vere e proprie vele al vento di una coppa America, spinnakers gonfi di brezza oceanica, “mobiles” volteggianti degni di occupare in maniera perentoria gli ampi spazi di un museo per ora lontano dalle sue rotte iniziali. Eppure fecondano il dibattito presente sui ritorni alla forma pura, come di un gesto definitivo di allontanamento dalle pur valide “narrazioni” degli anni precedenti, incerte se affidarsi ai salti concettuali o trasformarsi in rumore o chiacchericcio di fronte alla Storia che, dispettosamente, sembra scegliere altri percorsi, altre deviazioni rispetto a ciò che si poteva ipotizzare il giorno prima. E’ questo l’aspetto creativo della finanza, che la rende simile all’arte, dove il gioco diventa rischio intellettuale, azzardo spalmato sulle esistenze in maniera molto più feroce di come si potrebbe pensare. Pensare appunto. O lasciarsi andare con istinto, e lasciarsi pervadere da movimenti sinuosi in una danza contemporanea ben espressa dalle sculture. Questo legame tra scultura e danza è molto sentito da Carla Montemerli, che sembra voler conferire alle forme il compito di rivelare le arcane strutture costruttive del proprio essere più interiore, in una totale identificazione. Siamo oltre o di lato al minimalismo recente, che ha soltanto postulato l’esistenza di “mobiles” di Caldér, di “oiseau” di Costantin Brancusi, di forme ricomincianti alla Nikolaus Pevsner, nuovamente significanti. E’ tremendo e affascinante allo stesso tempo, vedere che la vita artistica reinizia da punti nel tempo e nello spazio che credevamo abbandonati, persi per sempre, compiuti nella storia, legati ad atmosfere d’epoca, in corse già gareggiate, in battaglie già vinte. Ed è parimenti affascinante scorgere la scommessa titanica dell’identificazione tra artista, opera e mondo, su cui ci si sente di poterci giocare tutto. E’ come se l’artista dicesse: qui sto e di qui dovrete passare, e quando passerete troverete me non un altro, il mio corpo e non quello di un altro, il significato che io scelgo di avere nel cosmo e non altri. Bella sfida ! Condita da una falsa e arrendevole semplicità, da movimenti armoniosi e suadenti un cazzo! E’ una lotta incessante, che inizia sempre di nuovo, di tutti contro tutti.
Dei trapassati, dei contemporanei e dei non-nati. Dei vecchi con i giovani e dei giovani con i vecchi. Degli uomini con le donne e delle donne con gli uomini. Questo ribollire di interiore intenzioni e di gesti io lo chiamerei borbottìo della Storia. Quale migliore metafora di queste sculture-ali di gabbiano che muovono e sono mosse dall’aria, per descrivere l’elevazione dell’artista, imprescindibile alterità.
Molte si chiamano “Aerea 1,2,3,4…”e sono costituite da armature in ferro e bende gessate. Materiale scarno, direi quasi architettonico che suggerisce la possibilità di grandi coperture come quelle a vela appunto di Frei Otto, o gli shelters di Buckmister Fuller. Siamo ritornati dal punto di vista della materia in un’area quasi brutalista, neoplasticistica, dove la leggerezza della forma pura contrasta con la pesantezza della materia. La forma conferisce movimento puro alle sculture, che, una volta sospese e volteggianti negli ambienti interni od esterni, si arricchiscono di nuovo movimento. Come nelle grandi spirali che evocano galassie in formazione o stelle collassanti. Alcune sculture più terrene sono di gesso ricoperto di rame alla ricerca di un effetto bronzeo che ne sancisca l’immortalità e l’eternità. Altre sono sospese su piedistalli di ferro con uno stelo sempre di ferro, che alla cima si trasforma in uccello o svolazzo, o gesto puro prestato a un immaginario design di piantane illuminanti che ricameranno sui muri gli effetti di ombre cinesi nate dalle stesse sculture. Carla Montemerli è nata a Venezia e ha studiato all’ Accademia di Belle Arti di Firenze.
Renato Ranaldi è stato tra i suoi maestri. Sappiamo che tra i suoi preferiti ci sono Tinguely, Giacometti e Kandinsky. Il suo lavoro ci sembra quanto mai attuale, anche se è un frutto che va colto subito per non disperdere l’energia che certamente vi sottende.

LAPO BINAZZI
Firenze, 9 marzo 2000